Commento su Luca 1,26-38
Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria(08/12/2015)
Vangelo: Lc 1,26-38
Commento a cura di Ottavio De Bertolis
“Dove sei?”: questa è la prima parola rivolta all’uomo che Dio pronuncia. Si potrebbe dire che tutto ciò che viene dopo questo versetto,
quindi tutta quanta la Scrittura, ne è un prolungamento, e come una conseguenza. Ed è interessante osservare come questa parola viene letta il più delle volte nelle nostre assemblee: un “dove sei” perentorio, stentoreo, una specie di atto di accusa, un indice puntato. Dietro, c’è un’immagine sfalsata di Dio: Dio non è amore, ma legge, dovere. La trasgressione viene ripresa e richiamata duramente: “dove sei?”, figlio degenere, ribelle, peccatore che non sei altro.
In realtà quel “dove sei?” è un pianto, un grido di dolore: “dove sei, figlio mio, dove ti sei perduto?”. E’ il lamento di un padre, di una madre, sul figlio lontano. Eppure noi non ci crediamo: Dio resta, direbbero gli psicologi, il super-io, il principio del dovere, il garante dell’ordine, colui che pone le regole e le fa rispettare, il padre nel senso del principio paterno, o principio di autorità. Si proietta su Dio tutto questo, che fa parte della struttura della nostra psiche, del modo umano di vivere la vita, e Dio è semplicemente costruito a immagine e somiglianza nostra. Si può credere a un Dio così, si può ritenere che sia così, e in effetti molti lo credono: in questo senso, è il Dio dei filosofi, nel senso che corrisponde a un’immagine che ha alcune ragioni, e così lo hanno pensato alcuni moralisti, teologi o giuristi. Ma non è ancora il Dio di Gesù Cristo. Lo si può temere, si può “fare i conti” con Lui: ma non si può amare, perché Lui in realtà non ama: fa leggi, dice il giusto, pronunzia i suoi giudizi, ma non è dalla nostra parte. Dio così inteso non è un “sì” a me, ma un “no”: appunto, un divieto, una legge, un comando. Così non possiamo essere figli, ma solo servi.
E Maria si riconosce “serva”: nessuna lode più grande che essere “servi di Dio”, nell’Antico Testamento, cioè nell’impero della legge: i profeti lo furono, ed è quanto di più possa vantare la logica umana. Ma noi non siamo “servi”, non lo siamo più: la legge, quella che produce servi, venne da Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. E così Maria Santissima imparò che non era solamente serva, ma che era fatta figlia, lei che, come ci insegna il Vaticano II, crebbe nelle fede custodendo le parole del suo Figlio nel suo cuore, e meditandole nella sua vita. E così non è più una donna dell’Antico Testamento, perché non era più sotto la legge, ma la prima donna del Nuovo, lei che è sotto la grazia, la prima “graziata”, la piena di grazia.
Ricordare l’Immacolata Concezione è ricordare quella grazia della quale fu riempita la Madre di Dio fin dal primo istante della sua vita, benedire l’Altissimo che ha fatto in lei grandi cosa, e rallegrarsi insieme a lei perché di quella grazia siamo stati riempiti anche noi. Ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale in Cristo: non abbiamo ricevuto l’amore di Dio con il contagocce, ma in pienezza, come lei. In lei nulla offuscò questo dono: in noi, disgraziatamente, sì, tante cose lo offuscano, ma continuamente esso viene rivivificato. La fedeltà di Dio continuamente ci fa “santi e immacolati”: come per Maria, anche per noi, poiché noi e lei possiamo insieme dire che “non siamo stati noi ad amare Dio, ma Lui ha amato noi”, e per primo.
E così riceviamo la vera benedizione, quella di cui Dio ci ha riempito in Cristo: conoscere Dio come lo ha conosciuto Gesù, non come lo ha conosciuto Mosè. Conoscerlo cioè come “Abbà, papà”, un “sì” senza se e senza ma per ognuno di noi. E così possiamo conoscere, amare e volere noi stessi come Lui ci ha conosciuto: non ci ha conosciuto come peccatori o lontani, o semplicemente come destinatari dei suoi comandi, ma come figlioli per il quale non risparmia niente. Possiamo conoscerci come Lui ci conosce, cioè amati. Possiamo volerci come Lui ci vuole: volerci bene, come Lui ci ha voluto bene, e volerci anche come Lui in questa nostra vita ci ha voluto. E così possiamo ripetere “sia fatta la tua volontà”, voglio essere quel figlio che tu vuoi, voglio che tu mi ami come vuoi amarmi, che tu faccia di me, della mia vita, delle mie cose, quel che tu vuoi; Lo possiamo dire perché abbiamo imparato a fidarci di Lui: e ci possiamo fidare di Lui proprio perché lo abbiamo conosciuto come un “sì”, un “papà”, e non come un “no”, un divieto, un padre nel senso psicologico prima detto.
Questa è la radice dell’uscita, dell’esodo, dal peccato, quell’esodo nel quale entrano coloro che seguono Gesù, ascoltando la sua parola e spezzando il suo pane. Il peccato, infatti, a ben pensarci, qualunque peccato, consiste proprio nel non conoscersi, volersi e amarsi come Dio stesso ci conosce, ci vuole e ci ama. Perciò Paolo afferma che non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma uno spirito da figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo “abbà, papà”. Questa è la redenzione dal peccato originale, che si rivela appunto come la paura e la diffidenza verso Dio percepito come un estraneo, ovvero come una presenza potente e ingombrante, come un vicino invadente e non come un amico. La paura di Dio: questo è il peccato, e Maria, come vediamo, ne fu esente, lei che disse: “eccomi”. Quell’eccomi nel testo greco è un ottativo, e significa: ma magari, ma come no, ma volesse Dio che. E’ un gettarsi entusiasta e pieno di fiducia. Vedete come le parole possono essere traviste: non è un fiat nel senso a cui pure potremmo pensare: guarda un po’ che cosa mi tocca fare, non posso ribellarmi e devo per forza fare questo, un atto di resa nelle mani di una potenza imperscrutabile e onnipotente, ma un gesto che esprime il più grande coinvolgimento personale, il libero arbitrio sviluppato all’ennesima potenza. Maria infatti non offrì a Dio qualcosa, ma se stessa. Comprese bene il salmo che dice: “sacrificio e offerta non gradisci”. Dio non gradisce un’offerta rituale, l’elemosina di una piccola osservanza legale, di un’obbedienza: al suo amore non si risponde se non con l’amore, e questo non è se non l’offerta di tutto se stesso. Maria ama perché sa che Dio per primo l’ha amata: offriamo solo per amore, non per paura. Da ciò vediamo che era immacolata, perché la paura è frutto del peccato: ho avuto paura perché ero nudo e mi sono nascosto. Maria non si è nascosta, si è offerta: e da lei è sgorgata la sorgente dell’acqua viva.
Mi piace concludere questa riflessione con la litania della Vergine che io preferisco: causa della nostra gioia. Sì, veramente lei è la causa della nostra gioia, che è Gesù. E’ Gesù che ci fa figli, che ci fa conoscere e amara Dio come Lui lo conosce e lo ama, è Gesù che ci fa conoscere noi stessi come Dio ci conosce, cioè come figli suoi, perché Dio è padre suo e anche padre nostro. Gesù ci regala il Padre, anzi, nel vocabolario da noi usato fin qui, il papà, il “sì” senza se e senza ma, e che così raramente vediamo nella vita di ogni giorno. Gesù è la misericordia che si apre e rimane sempre aperta. Ed è venuto a noi per mezzo di Maria. Dovremmo sempre celebrarla per quanto ha fatto per noi: lei che ci ha dato la vita, poiché Cristo è la vita, è davvero a noi più madre che la nostra stessa madre secondo la carne. Nostra madre infatti ci ha generato per la morte, lei ci ha generato alla vita. Possiamo imparare, o reimparare, il suo Rosario: con lei ogni giorno conoscere e meditare la parola del suo Figlio, ascoltandola, ma anche guardandola, contemplandola, toccandola, custodendola nel cuore, nella fantasia, nel ricordo. Il suo “eccomi” diventa il nostro ogni volta che le diciamo: “prega per noi peccatori”.
Pubblicato da Antonio Bortoloso a 22:49