Domenica XXV T.O. lectio divina di Enzo Bianchi

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Ci sono parabole di Gesù ben costruite e con un messaggio evidente, altre invece più contorte, meno lineari, il cui messaggio va cercato con cura e intelligenza. In questo capitolo 16 del vangelo secondo Luca ci troviamo di fronte a due parabole riguardanti il denaro, la ricchezza, proclamate una in questa domenica e una nella prossima (Lc 16,19-31).

Certamente la parabola odierna, quella dell’economo ingiusto, disonesto, che non agisce con rettitudine, può sembrare scandalosa, per il lettore superficiale può addirittura risultare immorale, ma occorre fare attenzione e discernere il vertice teologico presente nel racconto: allora lo si capirà in fedeltà all’intenzione di Gesù. Cerchiamo dunque con umiltà di faticare per arrivare a comprendere anche questo brano in modo evangelico.

Un uomo ricco ha un economo che ne gestisce gli affari, ma tutt’a un tratto quest’ultimo risulta essere un dissipatore dei suoi beni. Allora il padrone lo chiama e gli chiede: “Che cosa sento dire di te? Rendimi conto della tua amministrazione, perché non potrai più essere mio economo!”. È qualcosa che accade abbastanza spesso, perché la tentazione dell’ingiustizia, del pensare a se stessi e del non essere responsabili di una proprietà altrui è facile e ricorrente. Ma come reagire quando si viene scoperti? Qui l’economo, di fronte alla minaccia del padrone e alla prospettiva di perdere il lavoro, si mette a ragionare, a pensare al suo futuro. Egli medita tra sé: “Che cosa farò? Lavorare la terra? Non so farlo, non ne ho più la forza. Mendicare? Mi vergogno”.

Ed ecco che nel suo dialogo interiore giunge a una soluzione: farsi amici alcuni debitori del suo padrone, per poter contare su di loro. Ma deve fare tutto prestissimo, per questo convoca subito i debitori. Al primo domanda: “Quanto devi al mio padrone?”. Quello risponde: “Cento barili d’olio”. Ed egli replica dimezzandogli il debito: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. A un altro, che deve cento sacchi di grano, l’economo ne condona venti. Ecco una vera frode, una condonare i debiti senza l’autorizzazione del padrone, una palese ingiustizia! Eppure il padrone, venuto a conoscenza dell’inganno operato ai suoi danni, si congratula con l’economo disonesto, che secondo Gesù fa parte del mondo delle tenebre, ne è figlio, dunque è un figlio di Satana, il quale combatte i figli della luce che vivono nella giustizia.

Allora perché l’elogio, le congratulazioni? Per l’azione ingiusta? No, ma per la capacità di farsi degli amici, donando e condividendo proprio quella ricchezza ingiusta. Così quell’economo ingiusto non dissipa più i beni di cui è amministratore, ma li onora, condividendoli con quanti non hanno nulla. Ecco dove sta la buona notizia, il vangelo: ciò che è urgente, l’azione buona, è distribuire il denaro di ingiustizia ai poveri, non conservarlo gelosamente per sé. Proprio queste parole di Gesù vogliono essere buona notizia per i ricchi, perché ora sanno come devono amministrare i beni non loro: distribuendoli a tutti.

Attenzione, in questo racconto e nel successivo commento di Gesù compare per ben cinque volte il termine ingiustizia/ingiusto (adikía/ádikos) per definire l’economo e la ricchezza, Mammona. L’ingiustizia è dunque denunciata e condannata: non c’è altra via di giustizia se non quella di donare la ricchezza condividendola con i poveri, quelli che sono beati e ai quali è promesso il regno di Dio (cf. Lc 6,20). Il denaro resta “Mammona di ingiustizia”, definizione presente anche negli scritti di Qumran, che ne proclama l’iniquità radicale. Lo sappiamo bene: il denaro inganna, incanta, seduce, dà falsa sicurezza, ruba il cuore e diventa il tesoro prezioso nel quale si confida (cf. Lc 12,34; 1Ti 6,17). È vero che il denaro è solo uno strumento, ma di fronte a esso occorre vigilare, per donarlo, distribuirlo, condividerlo. Se infatti lo si accumula e lo si trattiene per sé, finisce per essere alienante: non è più posseduto, ma è lui a possedere chi lo ha nelle proprie mani!

Proprio per questo nel vangelo secondo Luca c’è una grande rivelazione fatta dal demonio stesso a Gesù al momento delle tentazioni nel deserto: “A me è stata data tutta questa ricchezza” – data da Dio, potremmo dire – “e io la do a chi voglio” (cf. Lc 4,6). Sì, chi accumula ricchezze è un amministratore di Satana, lo sappia o meno; per questo nella nostra parabola l’uomo ricco che dà in gestione all’economo molti beni può essere figura del demonio. L’unico modo per sfuggire alla schiavitù satanica è distribuire, donare il denaro, i beni, condonare i debiti: il denaro accumulato è sempre sporco, per ripulirlo basta condividerlo!

Il cristiano sa dunque che c’è un Mammona con la maiuscola, un idolo forte e seducente che può diventare un Kýrios, un Signore, rendendo servo e schiavo chi ne è amministratore. Il discepolo di Gesù – come ricorda chiaramente Gesù stesso – non può servire due padroni, ma è posto di fronte a una scelta:

o amare e servire uno, o amare è servire l’altro;
o ripudiare uno, o ripudiare l’altro,
perché i due padroni sono antitetici, sono concorrenti nel richiedere fede-fiducia.

Al termine di questa riflessione, possiamo guardare all’orizzonte del Regno, dove ci può attendere la grande comunione degli amici nella vita eterna. Ci accoglieranno con amicizia tra loro proprio i poveri, quelli che ci siamo fatti amici qui sulla terra giorno dopo giorno con la danza del dono e l’esercizio della condivisione. Non saremo soli, ma saremo una comunione di amici, se nell’amicizia ci siamo esercitati qui e ora, donando e accettando i doni.