Lorenzo, arcidiacono della chiesa di Roma, fu una delle più famose vittime della persecuzione dell’imperatore Valeriano. Costui, salito al trono a 60 anni di età, associò all’impero il figlio Gallieno, indolente e crudele. Dopo quattro anni di pace concessa alla Chiesa, scatenò una nuova persecuzione con due successivi editti. Con quello del 257 ordinò l’esilio a vescovi, sacerdoti e diaconi. Con il decreto del 258 comminò la pena di morte. La persecuzione fu generale e molto cruenta. Fra le vittime più illustri figurano a Roma il papa Sisto, Lorenzo e sei diaconi. La persecuzione cessò con la fine di Valeriano. Le notizie che abbiamo riguardo alla sua vita, in massima parte leggendarie, le deduciamo dal romanzo storico conosciuto sotto il titolo di Passione di Policronio della fine del secolo V, una specie di storia della persecuzione di Decio, antecessore di Valeriano. Secondo questa passione, Sisto II, sarebbe stato arrestato nel cimitero mentre rivolgeva la parola all’assemblea e condannato alla decapitazione nel luogo stesso dell’arresto. Durante il tragitto, l’arcidiacono Lorenzo, incaricato d’ufficio dell’amministrazione dei beni della chiesa e del sostentamento dei poveri, accorse premuroso per rivedere ancora una volta il “suo Papa”. Gli si avvicinò trepidante mentre procedeva scortato da soldati e gli disse senza ritardare la marcia del drappello: “Padre, dove vai senza tuo figlio? Sommo sacerdote, dove vai senza il tuo diacono?”. “Figlio mio”, gli ripose Sisto, “io non ti abbandono. Ti attendono più grandi combattimenti. Non piangere. Fra tre giorni mi seguirai”.
Valeriano cercò di spogliare la nascente Chiesa sospettata di avere cumulato segreti tesori. Arrestato e richiesto di consegnare i tesori, S. Lorenzo si dimostra cristiano esemplarmente saggio, nel distinguere la vera ricchezza della Chiesa, cioè la carità. Radunati i ciechi, gli storpi, i malati e i poveri della città, li presenta all’Imperatore dicendo: “Ecco i tesori eterni, che non diminuiscono mai e che fruttano sempre, sparsi in tutti e dappertutto”. Questa risposta, rispondente alla verità sembrò ai messi dell’Imperatore addirittura beffarda. Le casse dello stato volevano oro e non storpi, ciechi, muti e affamati. Egli affrontò poi il martirio, nel quale il fuoco era solo estrema risorsa dei persecutori. Prima di spirare rivolse a Dio il suo spirito dicendo: “Ti ringrazio, mio Signore, perché ho meritato di attraversare le porte del tuo Regno”.
Risale al secolo IV la tradizione che S. Lorenzo sia morto bruciato su di una graticola, che è diventata con il libro e la croce il motivo iconografico a lui peculiare. Sant’Ambrogio per primo ha esposto con abbellimenti retorici l’incontro di Lorenzo con Sisto, la presentazione al tiranno dei poveri e il supplizio della graticola con il sarcasmo, nella sua versione più antica: Assum est, versa et manduca! (Da una parte sono già cotto, voltami e mangia!) La più antica raffigurazione di lui con la graticola, il libro e la croce è conservata a Ravenna nella lunetta del cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia risalente a circa la metà del secolo V. La depositio Martyrum del 354 ricorda il giorno del suo martirio il 10 agosto 258. L’esempio di Lorenzo, caduto in terra come grano pronto per la semina, ha portato frutti abbondanti, suscitando una schiera di generosi giovani a servizio della chiesa e dei poveri. Non tutti sono chiamati a vivere i “consigli evangelici” nella loro radicalità, ma a tutti sono proposte le virtù evangeliche e le beatitudini: la virtù della fede e dell’obbedienza al Padre che è nei cieli, la povertà e la castità, la franchezza dell’annuncio e della testimonianza del vangelo del regno, tutto ciò che in qualsiasi comunità fa crescere e rende manifesta la comunione.